Articolo aggiornato il 24 Aprile 2009
Il grado di malignità di un tumore sta tutto nel modo in cui la neoplasia si sviluppa e si diffonde, attraverso le metastasi, nell’organismo, ne consegue che se riuscissimo a disporre di una sostanza atta a bloccare il diffondersi del tumore, saremmo riusciti nell’intento di arrestare la patologia salvando la vita al paziente.
Un obiettivo ambito e, apparentemente irraggiungibile, ma la ricerca va sempre avanti e quanto scoperto da un gruppo di ricercatori della UC San Diego School of Medicine in uno studio presentato in occasione del Congresso del centenario della American Association for Cancer Research in corso a Denver, parrebbe aprire qualche speranza in tal senso.
Infatti, tali scienziati americani, avrebbero isolato una proteina che, una volta sviluppatosi il tumore, tende a diffonderlo nel resto del corpo, la proteina in questione è stata chiamata RANKL.
“ Sulla carta “ sembrerebbe facile risolvere il tutto, si tratterebbe di bloccare, come fatto sperimentalmente su alcuni topi mutanti in laboratorio, tale proteina arrestando la diffusione dei tumori ed in effetti si è studiata tali ipotesi sui topi riuscendo a dimostrare che gli animali che erano predisposti a sviluppare il tumore al seno e che possedevano la capacità di produrre la proteina andavano incontro a metastasi, gli altri no, almeno non subito. E proprio il gruppo di topolini che non deteneva la possibilità di produrre la proteina RANKL non subiva la formazione delle metastasi fino a quando non si è iniettata la proteina ripristinando la capacità della neoplasia a diffondersi.
Situazione questa ancora reversibile, prima che l’organismo dell’animale fosse seriamente compromesso da tutta una serie di tumori secondari a causa delle metastasi, agendo su una sostanza capace di neutralizzare la proteina RANKL, insomma, almeno in laboratorio, la Comunità Scientifica avrebbe in mano l’arma, che potrebbe presto essere trasformata in farmaco, per bloccare la diffusione di un tumore a causa delle conseguenze metastasi, si tratta di mettere a punto una sostanza farmaceutica compatibile con l’uomo e di capire l’esatto dosaggio cui un paziente dovrebbe sottostare affinché possa reagire al meglio alla patologia.
Non siamo dunque lontanissimi da una applicazione pratica dell’attuale scoperta dei ricercatori, si tratta soltanto di far proseguire il lavoro scientifico e attendere fiduciosi.