Oltre a minacciare la salute della popolazione mondiale, la pandemia da Covid-19 ha stravolto anche il nostro stile di vita: uno dei cambiamenti più radicali (in Italia, perché nel resto del mondo è una pratica normalmente utilizzata) è rappresentato dallo smart working, ovvero la possibilità di lavorare da casa in via telematica.
Lo smart working ha, senza ombra di dubbio, notevoli vantaggi per chi ne può usufruire, come il risparmio di tempo e la possibilità di conciliare più facilmente esigenze personali e lavoro, ma d’altra parte può causare anche problemi come l’alienazione.
Addio a tailleur e giacca e cravatta, molti lavoratori preferiscono il loro comodo e caldo pigiama per lavorare da casa. Ma quanto incide lavorare in pigiama sul nostro benessere?
Lavorare in pigiama danneggia la salute mentale?
Secondo uno studio australiano del Woolcock Institute of Medical Research di Sydney, lavorare in pigiama potrebbe avere ripercussioni non solo sulla produttività, ma anche sulla salute mentale. Gli studiosi di Sydney hanno analizzato gli effetti dell’uso del pigiama durante lo smartworking nel pieno della prima ondata pandemica, ovvero da inizio aprile a fine maggio.
Dalla ricerca, pubblicata sulla prestigiosa rivista australiana Medical Journal of Australia, emerge che le persone che lavorano da casa in pigiama hanno rivelato peggiori condizioni di salute, a fronte però di una maggiore produttività, rispetto a chi, avendo magari figli piccoli a casa, tendeva a vestirsi regolarmente.
Si è più produttivi lavorando da casa
Secondo lo studio, condotto da 163 accademici e ricercatori provenienti da varie zone dell’Australia, una maggiore percentuale di persone “che indossano il pigiama durante le ore di lavoro riporta un declino di salute mentale durante la pandemia rispetto a chi si veste prima di andare al computer“.
“La dura realtà delle grandi città, con alti costi immobiliari, fa sì che molti accademici e ricercatori non possano permettersi case con studi o aree di lavoro separate“, spiegano i ricercatori Cindy Thamrin e David Chapman.
“Quanto alla produttività, la più alta si registra in chi è chiamato a svolgere compiti specifici, come scrivere articoli scientifici, mentre i ricercatori alle prime armi fanno più fatica a destreggiarsi“, precisano gli autori dello studio.