Il morbo di Parkinson è una malattia neurodegenerativa che colpisce, secondo alcune stime, l’1-2% della popolazione mondiale sopra i 60 anni di età. Non esistono cure, ma solo terapie che permettono di rallentare l’insorgenza dei sintomi e di migliorare la qualità della vita dei malati. Un nuovo studio ha tuttavia scoperto una regione genetica che produce una proteina in grado di prevenire la degenerazione dei neuroni coinvolti nel Parkinson. Vediamo di cosa si tratta.
Parkinson, il nuovo studio
I neuroni dopaminergici, deputati alla sintesi della dopamina, hanno un ruolo fondamentale nell’insorgenza del morbo di Parkinson. Situati in una piccola area del cervello chiamata sostanza nera, controllano i movimenti di tutto il corpo. La loro progressiva distruzione impedisce la trasmissione dei segnali che permettono specifici movimenti muscolari, e ciò causa i sintomi tipici della malattia. È per questo che molte ricerche si concentrano su questa popolazione di neuroni.
È il caso dello studio condotto dall’Università di Ginevra e pubblicato su Nature Communications. Gli esperti hanno analizzato in che modo avviene la degenerazione dei neuroni dopaminergici nei moscerini della frutta. Ed è così che hanno individuato una regione genetica che potrebbe essere coinvolta nello sviluppo del Parkinson. Si tratta del gene Fer2: una ricerca precedente aveva dimostrato come una sua mutazione fosse legata all’insorgenza di sintomi simili a quelli della malattia nei moscerini.
Stavolta, gli esperti hanno scoperto che lo stesso gene è responsabile della produzione di una proteina, che potrebbe avere effetti protettivi contro il Parkinson. Aumentandone l’espressione nei moscerini della frutta, infatti, i ricercatori hanno notato una degenerazione neuronale inferiore a causa dello stress ossidativo dei radicali liberi – che generalmente causa la distruzione dei neuroni dopaminergici.
A seguito di questa scoperta, gli scienziati hanno cercato l’omologo genetico nei topi e hanno individuato un meccanismo simile. “Risultati simili a quelli osservati nelle mosche ci permetterebbero di considerare un nuovo bersaglio terapeutico per i pazienti con malattia di Parkinson” – spiega Emi Nagoshi, una delle autrici dello studio.