Articolo aggiornato il 8 Maggio 2012
Tutta colpa di un particolare, quanto nuovo perché mai individuato prima, difetto nella regolazione dei geni: ecco svelato, da una recente ricerca italiana, pubblicata sulla prestigiosa rivista Cell, il responsabile di una delle forme più comuni di distrofia muscolare, quella facio-scapolo omerale. Si tratta di una scoperta importante, firmata da un team di esperti tutto italiano, quello che lavora presso l’Istituto Telethon Dulbecco presso l’Irccs San Raffaele di Milano e, in particolare, nell’unità “Espressione genica e distrofia muscolare”.
Individuare la causa, il meccanismo alla base di una malattia così importante può rappresentare una nuova speranza per chi ne soffre, ma non solo. Aver smascherato questo difetto nella regolazione genica, come “molla” scatenante la distrofia facciale, potrebbe favorire la comprensione di altre patologie dai contorni ancora poco chiari, come alcune forme di cancro o di diabete.
La distrofia muscolare facio-scapolo-omerale, FSHD, è una malattia dalle caratteristiche precise, dai sintomi facili da riconoscere quanto difficili da gestire. Colpisce ben 500 mila persone in tutto il mondo e 4500 solo in Italia, compromettendo progressivamente la funzionalità di alcuni distretti muscolari, come, in particolare, quelli del volto, delle scapole e delle braccia. Complice una forte componente di familiarità ed ereditarietà, questa patologia può causare la perdita dell’utilizzo di alcuni muscoli, inibendo, in modo quasi irreale quanto preoccupante, la mimica facciale e le azioni più banali, come sorridere o bere.
I risultati della nuova ricerca hanno fatto, finalmente, nuova luce sulle dinamiche alla base della FSHD. Il “nocciolo” della questione o, meglio, la vera responsabilità è tutta da attribuire a un preciso tassello del codice genetico, a un Rna non codificante che consente ai geni vicini di comportarsi in modo anomalo, di diventare iperattivi. Rispetto a quanto presunto e supposto negli anni scorsi, la distrofia facciale non è causata dalla perdita di una proteina, ma, al contrario, da un suo eccesso.
Il team di scienziati italiani è stato in grado di dimostrare che è la perdita delle sequenze ripetute D4Z4 a favorire o, meglio, a consentire la produzione di un nuovo Rna non codificante, battezzato DBE-T dai ricercatori. E’ proprio questo Rna non codificante a scatenare l’attivazione dell’espressione di geni vicini e, di conseguenza, a incrementare la produzione di proteine.
“Il meccanismo che abbiamo descritto è nuovo e rappresenta un modello interessante per affrontare altre patologie complesse in cui il classico approccio del gene candidato non ha avuto successo”, ha sottolineato il ricercatore a capo del progetto.