State per andare in psicoterapia e non sapete cosa aspettarvi dalle sedute? Abbiamo chiesto alla dr.ssa Martina Valizzone di aiutarci a capirne di più, per vivere questi momenti in completa serenità.
Cosa aspettarsi da una prima seduta di psicoterapia?
Il primo approccio con la psicoterapia genera solitamente diversi dubbi e curiosità.
Molte sono le domande che possono ronzare in testa a chi sta per intraprendere questo tipo di percorso, tra le più frequenti: “Cosa succede in terapia?”, “Chi comincia a parlare?”, “Cosa mi chiederà?”, “Quanto durerà?”, etc.
Iniziamo per gradi. La psicoterapia è essenzialmente un colloquio clinico e in quanto tale lo strumento principale di espressione di paziente e terapeuta, è la parola. Il primo colloquio è solitamente un colloquio di accoglienza, di analisi della richiesta del paziente che prevede una raccolta di informazioni riguardanti la storia di vita (personale e familiare) del persona che si rivolge al terapeuta. Solitamente una seduta ha una durata variabile tra i 45 minuti ed un’ora.
Durante la prima seduta, si analizzano le ragioni che hanno spinto il soggetto a rivolgersi ad uno psicoterapeuta, per poi arrivare nel giro di alcune sedute ad una definizione specifica degli obiettivi terapeutici e del contratto terapeutico.
In sintesi la funzione principale del primo colloquio è quella che in gergo tecnico viene definita assessment, attraverso la quale il terapeuta cerca di comprendere il paziente e il suo mondo di significati, come si è sviluppata la problematica che riporta, come si mantiene e come si manifesta.
A cosa serve e dopo quanto tempo il paziente ottiene i benefici sperati?
Non c’è una risposta univoca a questa domanda. Questo perché la psicoterapia non ha uno svolgimento lineare, può alternare fasi di stallo, a momenti di rapido avanzamento fino momenti di regressione. Non è dunque possibile stabilire a priori il numero di sedute necessarie per il raggiungimento dell’obiettivo o degli obiettivi prefissati.
La psicoterapia a volte può durare pochissime sedute, anche una sola, pochi mesi o alcuni anni.
La sua durata varia in relazione a diversi fattori, quali:
- la severità dei sintomi presentati dal paziente;
- la sua storia clinica e familiare;
- la presenza di eventuali fattori di mantenimento;
- l’atteggiamento dell’ambiente familiare;
- la presenza o meno di una rete di supporto sociale;
- l’approccio terapeutico scelto: una psicoterapia ad indirizzo psicoanalitico sarà sicuramente diversa da una psicoterapia ad indirizzo strategico o cognitivo-comportamentale, questo sia in termini di durata della terapia che di tecniche terapeutiche utilizzate.
Cos’è la terapia cognitivo-comportamentale, di cui si sente tanto parlare?
La psicoterapia a orientamento cognitivo-comportamentale, è una terapia per lo più finalizzata a modificare i pensieri distorti, le emozioni disfunzionali e i comportamenti disadattivi diventati schemi di comportamento rigidi che il paziente mette in atto inconsapevolmente.
Lo psicoterapeuta andrà dunque a lavorare, con l’aiuto del paziente, in direzione di una ristrutturazione cognitiva, che attraverso tecniche di condizionamento e decondizionamento andrà a modificare le risposte emotive e comportamentali disadattive, sostituendole con nuovi schemi comportamentali più funzionali. Questa ristrutturazione si verifica tramite esperienze dirette cui il paziente è invitato a sottoporsi (come ad esempio l’esposizione a stimoli prima evitati), o la messa in atto di comportamenti non ancora sperimentati.
L’approccio cognitivo-comportamentale negli ultimi anni gode di una discreta fama in quanto si è rivelato particolarmente efficace nel trattamento e la cura di numerosi disturbi psicologici, quali: disturbi d’ansia, depressione, disturbi alimentari e disturbi da dipendenze patologiche.
A RISPONDERE ALLE DOMANDE:
Dr.ssa Martina Valizzone
Psicologa Psicoterapeuta