Psicologia: le 10 cose che non dovresti accettare in una relazione

Ecco i sintomi che possono indicare una involuzione del legame di coppia

Psicologia: le 10 cose che non dovresti accettare in una relazione

Psicologia: le 10 cose che non dovresti accettare in una relazione

Quando una relazione può dirsi “malata”? A rispondere a questa e molte altre domande la dr.ssa Daniela Benedetto, psicologa e psicoterapeuta.

Quali sono i sintomi di una relazione “malata” con il proprio partner?

È sempre meglio prevenire una situazione patologica del rapporto, individuando quanto prima quegli elementi che possano condizionare un processo complesso di relazione.
Dipendenza, morbosità, ritiro d’investimento sociale, mancanza d’intimità e complicità fisica e mentale, gelosia, eccessivo attaccamento, paura di essere traditi, svalutazione dell’altro, passività, ma anche insofferenza familiare, aggressività, frequenti allontanamenti, disinvestimento dai progetti di coppia, questi alcuni dei tratti che possono indicare una involuzione del legame di coppia.
Da un legame del tutto nuovo che implica una fase di conoscenza e di riconoscimento del sé nell’altro, si passa ben presto a una fase di disillusione, dove diventa più chiaro il limite che l’altro ci propone di fronte alle nostre aspettative, convinzioni e spesso alle nostre pretese.
L’analisi delle varie fasi del rapporto di coppia ci permette di individuare i punti ‘critici’ di rottura e instabilità della relazione.
Sappiamo che la coppia attraversa determinati stadi evolutivi che considerano una prima fase simbiotica che corrisponde all’inizio dell’innamoramento e che è utile per stabilire un legame intenso, di complicità e di riconoscimento reciproco.
In questa fase, vengono amplificate le somiglianze e sminuite le differenze (idealizzazione). È un momento di fusione che diventa sintomo di dipendenza, di paura e angoscia di abbandono, oggetto di manipolazioni, se perdura nel tempo, oltre un anno (coppia simbiotica).
Dopo questo periodo, inizia una fase di differenziazione in cui diminuisce progressivamente la percezione di magia e, anche a livello neuro biologico, la risposta dopaminergica allenta la ‘ presa’ e la coppia riesce a cogliere aspetti reali del partner, a ridimensionarne i pregi e a riconoscerne i limiti.
La coppia sana riconosce le differenze e le singole individualità e lavora sull’accettazione, la comprensione e la cooperazione, gestendo le differenze in modo costruttivo e soddisfacente per entrambi.
I tentativi di resistere a questo percorso di individuazione e differenziazione portano alla manipolazione dell’altro nella convinzione di poterlo cambiare e/o a tentativi di nascondere o negare il conflitto.
Eventuali insicurezze andrebbero, invece, comunicate per essere affrontate insieme e consolidare un rapporto di coppia basato su un ‘attaccamento’ sicuro.
La fase successiva della coppia è attraversata dalla sperimentazione dei partner della propria identità nella coppia. Una relazione che ha consolidato una base sicura di stima e cooperazione reciproca riesce ad allontanarsi e riavvicinarsi senza sentire la minaccia né della perdita dell’altro né della possibilità di dover rinunciare alla propria autonomia.
Una sana autonomia individuale diventa di solito motivo per apprezzare quella dell’altro e quindi proseguire verso una fase di riavvicinamento senza paure.
Questa fase prevede che i partner sappiano e abbiano imparato a sostenere la paura della vulnerabilità, di perdere l’autostima e l’autonomia, a fronte di un impegno crescente nel confronto soprattutto in situazioni di disaccordo e di espressione di sé e della propria individualità.
La fase di interdipendenza è l’apertura verso la piena intesa. La coppia si relaziona alla pari, integra le diverse individualità, riconosce e rispetta in modo attento e sensibile i bisogni reciproci, si mantiene operativa in termini progettuali e ricca di prospettive per il presente e il futuro. La presenza dell’altro è consolidata e la relazione sentita come ‘sicura’.

Quali sono le 10 cose che non si dovrebbero mai accettare?

  • 1. La pretesa del tuo partner di sapere cosa è meglio per te.
  • 2. Le manipolazioni affettive (svalutazione e ipervalutazione dell’altro).
  • 3. Il non ammettere i propri errori (arroganza, narcisismo, svalutazione dei sentimenti dell’altro, sarcasmo…).
  • 4. Il non saper chiedere scusa.
  • 5. L’egoismo (mettersi sempre al centro della relazione imponendo la propria visione e i propri bisogni).
  • 6. Il ricatto affettivo (utilizzare l’affetto dell’altro e la sua disponibilità quale mezzo per raggiungere e soddisfare i propri bisogni -narcisistici e d’insicurezza-, trascendendo così dalla relazione e dal riconoscimento dell’altro come individuo).
  • 7. La dipendenza affettiva.
  • 8. Il non saper giocare in squadra con un approccio costruttivo anziché di sfida, di manipolazione o ancora di monotonia e passività.
  • 9. Una relazione monotona che non sappia costruire, progettare, crescere.
  • 10. La violenza verbale, psicologica e fisica.

Come trovare il coraggio per lasciare un partner sbagliato?

È importante premettere che i partner fin dall’esordio della relazione dovrebbero garantire il mantenimento di una vita sociale individuale, mantenere e coltivare interessi personali come base di riferimento di se stessi alla quale affidarsi con fiducia e certezza.
Anche e soprattutto in situazioni affettive e di vita critiche.
Nell’ambito di una relazione di coppia, infatti, dovrebbe essere messo a disposizione dell’altro solo il 30% delle nostre energie personali, perché possano diventare il ‘campo’ e lo ‘spazio’ nel quale costruiamo i progetti di coppia.
Questo approccio garantisce una vita affettiva sentita come una scelta e non come condizione per sentirsi realizzati ed integrati.
Partendo da questi presupposti, un eventuale distacco diventa parte dei principi sui quali abbiamo costruito il rapporto stesso.
In questa prospettiva è importante valutare obiettivamente gli aspetti della relazione che favoriscono benessere e felicità da quelli che invece ci procurano sofferenza e disagio.
La condivisione nella coppia di questi fattori aiuta i partner a una decisione congiunta che spesso aiuta ad affrontare anche la separazione mediante un supporto reciproco.
Anche le separazioni dovrebbero essere affrontate con la stessa accortezza e dolcezza che hanno caratterizzato l’inizio del rapporto.
Non sempre però c’è questa disponibilità e, quindi, al di là del fatto che la separazione sia subita o agita da noi, è importante fare il punto sui limiti della relazione, abbandonando la convinzione che l’altro possa cambiare o altri tipi di pensieri ripetitivi e ricorrenti quali ”nulla sarà come prima”, ”non troverò nessun altro/a che mi renderà felice’ o convincendoci che la qualità della vita e la felicità siano legate esclusivamente all’altro, o ancora sentendoci in colpa per far soffrire l’altro.
Trascinare un rapporto che è diventato tossico per non creare una rottura definitiva crea ulteriori problemi che rendono ancora più doloroso il distacco, ma anche la convivenza stessa.
È proprio il rispetto e la stima reciproca a sostenere le decisioni più dolorose e, ancora una volta, una buona comunicazione basata sulla lealtà e la vicinanza, aiutano la comprensione e accettazione (sia pure dolorosa e sofferta).
Spesso, queste difficoltà ad accettare la conclusione di un rapporto (abbandono) o a determinarne e comunicarne l’intenzione di interromperlo dipendono dallo stile di attaccamento vissuto con la propria madre durante la prima infanzia.
Infatti, un legame affettivo primario di attaccamento con la propria mamma di tipo ‘non sicuro’, ambivalente, evitante o disorganizzato può attivare nell’adulto, di fronte a un ‘abbandono’ del proprio partner (subito o agito) quegli stessi vissuti di vuoto, incapacitazione o confusione esperiti da piccoli nelle relazioni affettive precoci.
Un buon percorso psicoterapeutico è, in questi casi, consigliato.
A RISPONDERE ALLE DOMANDE:
Dr.ssa Daniela Benedetto
Psicologa e Psicoterapeuta