Chi è affetto da Parkinson presenta livelli più bassi di caffeina nella saliva

Questa scoperta potrebbe rivelarsi un metodo efficace e non invasivo per monitorare la progressione della malattia nei pazienti affetti dal Parkinson

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Foto Pexels | Foodie Factor

I pazienti affetti da Parkinson presentano nella saliva un livello di caffeina inferiore rispetto alle persone sane. Questa scoperta potrebbe rivelarsi un metodo efficace e non invasivo per misurare e monitorare la progressione della malattia nei pazienti affetti dal morbo. Lo rivela uno studio italiano pubblicato su Scientific Reports, una rivista del prestigioso Gruppo Nature.

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Parkinson, meno caffeina nella saliva

Che l’assunzione di caffeina riduca il rischio di sviluppare il Parkinson è noto, ma adesso potrebbe rivelarsi anche un metodo rapido e non invasivo per monitorare la malattia. La ricerca ha coinvolto 86 pazienti che si trovavano in diversi stadi della malattia e che sono stati messi a confronto con altrettanti soggetti sani della medesima fascia d’età. Per ogni paziente, è stato valutato il livello di assorbimento della caffeina, il relativo metabolismo e la quantità presente nella saliva.

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Il legame tra caffeina e Parkinson

I risultati hanno evidenziato che l’assorbimento della caffeina è simile nei pazienti e nei soggetti di controllo, mentre la quantità presente nella saliva risultava inferiore nei pazienti affetti dalla malattia di Parkinson in fase moderata o avanzata rispetto ai soggetti di controllo. Inoltre, i risultati suggeriscono che la caffeina potrebbe svolgere un ruolo nella progressione della malattia. “Approfondire i meccanismi di questo legame potrebbe portare a nuove conoscenze sulla genesi e sul suo sviluppo“, spiegano gli studiosi.

Uno strumento per misurare la malattia

Non sappiamo ancora con chiarezza quali possano essere le cause della differente concentrazione di caffeina e ulteriori studi saranno necessari per chiarire questo aspetto“, spiega il primo autore dello studio, Giorgio Leodori, dell’Ircss Neuromed di Pozzilli (IS) e Università Sapienza di Roma. “Ciò che però emerge è che la misurazione della caffeina nella saliva può costituire un valido strumento per definire con maggiore precisione lo stadio a cui si trova la malattia e seguire la sua progressione“, prosegue Leodori. E aggiunge: “E’ un potenziale biomarker, utile per i clinici che seguono i pazienti“.