Osteogenesi imperfetta: cause, diagnosi e terapia

Fratture

Fratture

L’osteogenesi imperfetta comprende un gruppo di gravi malattie ereditarie, le cui cause sono – per l’appunto – di tipo genetico. Come si giunge alla sua diagnosi? Esiste una terapia? L’osteogenesi imperfetta causa, in chi ne è affetto, grave fragilità delle ossa e continue fratture – in seguito a piccoli traumi e non – comprese deformazioni gravi. Questa patologia genetica può fare la sua comparsa in diversi momenti della vita: ciò dipende, infatti, dalla gravità della malattia. Al momento, a livello clinico, sono state individuate ben cinque forme di OI (osteogenesi imperfetta). Ma qual è la sua sintomatologia esatta? Quali sono le sue cause? Esiste un trattamento che può far sperare nella guarigione? Scopriamo di più in merito.

I sintomi

I sintomi legati all’osteogenesi imperfetta comportano un aumento della fragilità scheletrica, una diminuzione della massa ossea e, dunque, una maggiore predisposizione a fratture ossee di diversa gravità. Oltre a questi segni clinici, possono presentarsi deformazioni gravi e diversi disturbi in base alla tipologia di OI: i pazienti affetti da osteogenesi imperfetta di tipo 2 – spesso fatale – presentano, sin dalla nascita, fratture multiple, deformità significative, ossa lunghe e allargate e una diminuzione della densità cranica; chi soffre del tipo 3 – si tratta di una forma grave – può avere fratture alla nascita, una statura molto bassa, deformazioni progressive degli arti e cifoscoliosi, faccia triangolare e sclere normali o grigiastre; i tipi 4 e 5 sono caratterizzati da statura moderatamente bassa, fragilità ossea lieve o moderata, formazione di calli ossei iperplasici, dislocazione della testa del radio e mineralizzazione delle membrane intraossee; mentre il tipo 1 non causa deformazioni particolari e ben evidenti. L’OI può, inoltre, manifestarsi in vari momenti della vita: questo dipende, infatti, dalla gravità della malattia. Tra le altre caratteristiche cliniche che possono manifestarsi, vi è la più grave che è la mortalità durante la gravidanza o subito dopo la nascita. Oltre a ciò, è possibile che si verifichi una condizione conosciuta come “dentinogenesi imperfetta”, i cui sintomi sono denti di colore bruno-grigiastro, che tendono a spezzarsi.

Le cause

L’osteogenesi imperfetta è, nella maggior parte dei casi, dovuta a delle mutazioni genetiche e colpisce, indicativamente, un bambino ogni 25 mila nati. Le alterazioni riguardano i geni responsabili della produzione del collagene di tipo I: quest’ultimo è, infatti, una proteina che contribuisce alla formazione di fibre resistenti per il tessuto connettivo del derma e delle articolazioni, come cartilagini, tendini e ossa. Inoltre, le mutazioni possono essere di vario genere e possono comportare dei mutamenti della proteina in questione più o meno gravi: questa è la ragione per cui esistono diverse forme di OI. Oltre a ciò, esiste una percentuale inferiore di casi di osteogenesi imperfetta non legata direttamente ad alterazioni della struttura del collagene, ma a mutazioni a carico di altri geni.

La diagnosi

La diagnosi viene effettuata tramite la storia clinica e familiare del paziente e analisi specifiche: si analizzano i segni scheletrici ed extra-scheletrici e vengono effettuati degli esami radiologici specifici, che permetteranno di ottenere un quadro completo della salute del paziente e dei disturbi presenti legati a OI. Inoltre, se è stata identificata una mutazione patogenetica nella famiglia, è possibile fare una diagnosi già durante la gravidanza, tramite ecografia, ultrasonografia, analisi molecolari sugli amniociti o sui villi coriali. Durante la diagnosi, sarà compito del medico escludere altre patologie dai sintomi simili: ad esempio, alcuni tipi di tumore o determinate malattie ereditarie, come la condrodisplasia e l’ipofosfatasia.

La terapia

Esiste una cura contro questa rara malattia? La terapia, solitamente, si basa sui bifosfonati che non sono, però, in grado di curarla, ma di migliorare la qualità di vita dei pazienti: il trattamento farmacologico è, infatti, indicato per ridurre il dolore, l’incidenza di fratture e migliorare la struttura ossea, ma va effettuato solo in caso di effettiva necessità e sotto stretto controllo medico. È importante, però, fare della prevenzione in merito a carenze riguardanti sali minerali come il calcio – le cui proprietà terapeutiche sono molte – o vitamine come la D. Si può, inoltre, agire con trattamenti ortopedici e interventi chirurgici per correggere le deformità scheletriche e della colonna, oltre che per poter prevenire le fratture delle ossa lunghe, ovvero l’osteosintesi centromidollare: la chirurgia ha come obiettivo quello di migliorare l’autonomia e la mobilità del paziente. Anche la fisioterapia precoce può migliorare l’autonomia del paziente, riducendo il rischio di cadute, valutando i deficit motori e promuovendo l’attività fisica. È consigliabile chiedere un supporto psicologico, in quanto il dolore alle ossa e ai muscoli può deteriorare la qualità della vita, così come il lavoro e i rapporti sociali: questo può, infatti, essere di aiuto per riuscire ad affrontare delle situazioni difficili, ma non impossibili da vivere. È bene sottolineare che la prognosi dipende dalla gravità della malattia e dalle eventuali complicazioni respiratorie associate alle deformità della colonna vertebrale.

Le cellule staminali

Infine, l’osteogenesi imperfetta potrebbe trovare una soluzione grazie ad un nuovo lavoro scientifico abbastanza sofisticato e moderno, che impiegherebbe le cellule staminali: gli scienziati – come Nicholas Fisk e i colleghi dell’Imperial College di Londra, che hanno studiato in modelli murini il terzo tipo della malattia delle ossa fragili – avrebbero, infatti, trovato la cura per questa malattia iniettando le cellule staminali direttamente nel feto in formazione, già diversi anni fa. I primi esperimenti erano stati condotti su alcuni feti di topi nati, in seguito, con ossa robuste e privi degli effetti della malattia stessa. Oggi, la tecnica sarà attuata sugli esseri umani e i primi studi clinici, che prevedono l’impiego di cellule staminali fetali, saranno condotti da un team di ricercatori guidati dal Karolinska Institutet in Svezia e dal Great Ormond Street Hospital in Gran Bretagna: sono quindici i bambini che riceveranno il trattamento nell’utero materno e dopo la nascita; altri quindici lo riceveranno solo dopo la nascita e lo studio metterà a confronto gli esiti della terapia con quelli dei pazienti non trattati.