Obesità: così si potrebbe curarla

Probabilmente per Botero, autore di quadri ritraenti soggetti extralarge, l'obesità non era una malattia, ma la scienza dice altro, di fatti gli studi si concentrano per debellare questa condizione patologica

Probabilmente per Botero, autore di quadri ritraenti soggetti extralarge, l'obesità non era una malattia, ma la scienza dice altro, di fatti gli studi si concentrano per debellare questa condizione patologica
Se si riuscisse a sconfiggere del tutto l’obesità, ci troveremmo di fronte ad una conquista della scienza paragonabile, forse, a quella della penicillina avvenuta nel 1928 da parte dello scienziato Fleming e non soltanto perché faremmo tornare il sorriso a tante donne, ma anche uomini, dalle taglie troppo forti, ma perché, l’obesità non è solo una condizione scomoda, ma una vera e propria patologia.
Purtroppo tornare in forma non è facile e richiede tutta una serie di sacrifici di non certo poco conto, curare l’obesità, quando assume sempre di più i contorni della malattia, diviene, invece, improcrastinabile, atteso che questo stato apre la porta a diverse gravi patologie, diabete, accidenti cardiovascolari, tumori.
Gli studi per contrastare il fenomeno sono molteplici, ma un recente lavoro scientifico, risalente a circa due anni fa ma ancora in atto, riferisce di uno studio condotto in Australia dall’Istituto di Tecnologia di Melbourne presso il Laboratorio di ricerca muscolare. Secondo il lavoro scientifico, a contrastare l’obesità potrebbe essere una proteina, l’Interleuchina 6 che esiste naturalmente nel nostro organismo ma che se introdotta dall’esterno, potrebbe far ridurre il grasso corporeo del 20%, tale proteina avrebbe effetti clinici anche nei confronti del diabete di tipo 2, insulinodipendente.
Cenni sull’Interleuchina 6
Secondi sudi effettuati in Sudafricana, a Citta del Capo, per la precisione, sarebbe emerso che l’Interleuchina 6 è una proteina che nell’organismo assolve ad una funzione di “spia” per il cervello, col fine di interagire con il lavoro muscolare e regolarlo in funzione degli sforzi che queste strutture compiono, così che, quando il lavoro muscolare si fa più intenso, l’Interleuchina 6, interagendo con i muscoli, ne rallenta il funzionamento al fini di evitare il sovraffaticamento muscolare, una condizione che alla lunga nocerebbe all’organismo. Ma i recenti studi su questa proteina avrebbero anche acclarato il ruolo di questa sostanza nella riduzione dell’accumulo di grassi negli obesi. A ciò, i ricercatori australiani sarebbero addivenuti partendo dall’osservazione che chi fa esercizio fisico è più magro rispetto a chi non lo fa, fatto questo che sembrerebbe del tutto scontato, ma è interessante capire che da quest’osservazione son partiti tutti gli studi sull’Interleuchina 6.
Ci si è chiesti, insomma, quale sostanza inducesse la liberazione di grasso e zuccheri durante il movimento. Dai risultati del lavoro scientifico australiano parrebbe che tale sostanza individuata corrisponderebbe proprio all’Interleuchina 6, così come, alti livelli di questa proteina nel sangue determinerebbero quella condizione nota come stanchezza cronica. Motivo per cui, la scoperta australiana sarebbe stata salutata nella duplice funzione che tale sostanza avrebbe nell’organismo, assunta dall’esterno, modificherebbe la quantità di grasso e dunque contrasterebbe l’obesità, modificandone la quantità in circolo, invece, si rivelerebbe efficace per la cura della stanchezza cronica.
Purtroppo siamo ancora nell’ambito delle ipotesi, poiché, oltre che sperimentalmente, gli studi australiani non potranno ancora essere adottati su larga scala e nell’uso terapeutico, tuttavia, il mondo scientifico ammette alla scoperta, oltre che rigore, anche grande importanza, perché potrebbe rappresentare un tassello in più da aggiungere nel grande mosaico rappresentato dalla lotta alle malattie da eccesso ponderale e metaboliche in generale e potrebbe aprire la strada, una volta affinato e perfezionato lo studio scientifico, all’impiego di farmaci a base, appunto di Interleuchina 6, appositamente modificata al fine di non arrecare eventuali effetti collaterali o eventuali reazioni più gravi della malattia che si intenda curare.