Una piccola cellula, una grandissima scoperta: gli scienziati hanno individuato qualcosa che potrebbe fare nuova luce sulle malattie del cuore. Si tratta di un tipo di cellule che, secondo le ricerche recentemente effettuate, potrebbero influenzare la frequenza del battito cardiaco. Vediamo di cosa si tratta.
Scoperta una nuova cellula nel cuore
Si chiama Nexus Glia, e il suo nome deriva dalla somiglianza con l’astrocita – una cellula a forma di stella che fa parte del sistema nervoso. Gli scienziati l’hanno rinvenuta nell’area in cui il sangue, durante la contrazione cardiaca, fuoriesce dal cuore e si incanala nell’aorta, la principale arteria del corpo umano. Questo è anche il luogo in cui si verificano numerosi difetti cardiaci congeniti, motivo per cui la scoperta di questa cellula potrebbe avere risvolti molto interessanti.
Un team di ricercatori del Dipartimento di Scienze Biologiche della University of Notre Dame (nell’Indiana) si è imbattuto in questo nuovo tipo di cellula mentre stava studiando nuove cure per l’insufficienza cardiaca. Lo studio, pubblicato su PLOS Biology, apre le porte ad una maggiore comprensione di problemi al cuore per i quali non è ancora stata trovata una spiegazione. Nexus Glia è emersa durante delle analisi sui cuori dei pesci zebra. In seguito, gli scienziati ne hanno riscontrato la presenza anche nei cuori dei topi e degli uomini.
Non è ancora chiaro a cosa queste cellule servano, tuttavia si è riscontrata una correlazione tra la loro funzione e il battito cardiaco. I ricercatori hanno infatti provato ad eliminarle dal tessuto cardiaco, e come risultato si è avuto un aumento della frequenza. Rimuovendo invece un loro gene chiave, il battito si è fatto irregolare. Resta ora da capire in che modo Nexus Glia agisca sul cuore. E, soprattutto, se una loro conoscenza approfondita possa portare a nuovi approcci terapeutici per alcune malattie cardiache.
“Le conoscenze acquisite con questo studio potrebbero spiegare come le cellule gliali regolano il cuore e, quindi, aggiungere un pezzo in più al puzzle delle patologie cardiache” – ha dichiarato il prof. Cody Smith, autore dello studio – “Ma, al momento, sappiamo ancora poco per poter avanzare delle ipotesi precise”.