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Articolo aggiornato il 23 Luglio 2012
In medicina si apre una nuova frontiera grazie alle nanotecnologie. Grazie a queste ultime, di cui si parla sempre più spesso, si potranno creare nuovi dispositivi diagnostici ma anche trattamenti terapeutici sempre più specifici e precisi. Le nanoscienze comprendono una serie di tecnologie nuove che aiuteranno medici e pazienti ad aumentare l’efficacia delle terapie, ridurre gli effetti collaterali sui tessuti sani e aumenteranno la velocità di diagnosi. Esperti di tutto il mondo, Italia compresa, sono sicuri che le nanotecnologie miglioreranno la medicina in ogni suo campo, e proprio per questo negli ultimi tempi vi sono sempre più studi che hanno come oggetto questo argomento. Alla base delle nanoscienze vi è la dimensione molto piccola con la quale si andrà a lavorare: i nanometri. Sono misure infinitesimali difficili da pensare e immaginare anche per la nostra mente. Un nanometro è un miliardesimo di metro, per farci un’idea dobbiamo pensare che una cellula misura 5 micron, ossia 5 mila nanometri. Quindi si ha a che fare con particelle ultra-piccole che verranno utilizzate come armi per contrastare le malattie, anche quelle più gravi e pericolose, come il cancro.
Studi internazionali sulle nanotecnologie
Nel mese di settembre si terrà a Venezia l’ottava Conferenza Mondiale sul futuro della scienza, chiamata “Nanoscience Society” e promossa dalla Fondazione Umberto Veronesi, Fondazione Giorgio Cini, Fondazione Silvio Tronchetti Provera, il cui argomento principale sarà proprio sulle nanotecnologie. Durante l’evento si parlerà del futuro della medicina grazie alle nanoparticelle e degli ultimi risultati ottenuti dalle ricerche. Le nanoscienze sono state argomento principale di recenti studi internazionali: uno studio statunitense, condotto da scienziati della Northwestern University, pubblicato sulla rivista dell’Accademia di Scienze Americana (Pnas), si è occupato dell’efficacia clinica di una comune crema dermatologica che potrebbe veicolare nanoparticelle (elementi talmente piccoli da “confondere” il sistema immunitario), attraverso la cute, in grado di inibire selettivamente i geni responsabili di alcuni tumori della pelle e di altre patologie. Grazie a questa nuova metodica, sperimentata sui topi e su cellule di pelle umana, si sono potute oltrepassare le barriere della cute, ed in un futuro si potranno somministrare farmaci per trattare patologie come la psoriasi, ferite dovute al diabete, oltre che il melanoma e il carcinoma a cellule squamose.
Lo studio australiano
Un’altra ricerca, condotta da studiosi australiani dell’Università di Sidney, insieme ai colleghi scozzesi, si è occupata della possibilità dell’uso delle nanoparticelle come veicoli per terapie antitumorali più precise e specifiche, in modo tale da ridurre il più possibile gli effetti collaterali della classica chemioterapia. Nello specifico sono riusciti ad inserire una piccolissima anima di ossido di ferro, delle dimensioni di 5 nanometri (per capirci un millesimo del diametro di un capello), in un farmaco antitumorale; dopo di che, utilizzando una calamita, hanno diretto la sostanza direttamente nella massa tumorale. In questo modo la terapia sarà specifica e non intaccherà i tessuti sani circostanti.