L’infarto può verificarsi in maniera molto più facile in determinate ore della giornata. E’ quello che hanno dimostrato i ricercatori del Baylor College School of Medicine di Houston, con uno studio, i cui risultati sono stati pubblicati su Nature. Una ricerca molto interessante, che ha chiarito le incertezze che fino ad ora c’erano su questo argomento, anche se la ricerca scientifica aveva fatto dei passi avanti molto importanti nel riuscire a stabilire una correlazione tra gli attacchi di cuore e il ritmo circadiano.
Infarto di mattina peggiore
Si è infatti visto che l’infarto è più fatale se avviene di mattina: lo aveva già dimostrato una ricerca spagnola. Lo studio era stato condotto da un gruppo di ricercatori dell’Università spagnola, guidati dal dottor Borja Ibanez, e pubblicato sulla rivista Heart. Gli studiosi avevano esaminato 811 persone, tra le quali alcune di esse erano state colpite da infarto tra le sei e le dodici del mattino. Dagli esami era risultato che i pazienti colpiti da infarto al mattino presentavano livelli elevati di un enzima, identificato come marker importante legato alla morte dei tessuti cardiaci.
Questo marker era presente in certe concentrazioni in tali pazienti rispetto, alle persone che avevano avuto un infarto durante la sera. Al mattino sembrerebbe che la percentuale di tessuto cardiaco danneggiato a causa dell’infarto sia maggiore piuttosto che questo avvenga la sera. Gli studiosi sottolineavano come questo sia dovuto al ciclo biologico di sonno veglia, che regolerebbe la comparsa dell’infarto al mattino o alla sera.
Adesso gli scienziati americani hanno dimostrato che gli attacchi di cuore improvvisi e mortali possono avvenire immediatamente dopo il risveglio oppure anche la sera.
Perché ci sono momenti peggiori?
Tutto ciò succede perché c’è un collegamento fra i processi biologici che avvengono nel nostro organismo e il rischio cardiovascolare. Alla base di questi processi coinvolti ci sarebbe una proteina che è chiamata Klf15.
Questa proteina regola il ritmo circadiano, che spesso risulta insufficiente in quei pazienti che soffrono di insufficienza cardiaca. I ricercatori hanno scoperto che il rischio di aritmie cardiache è associato sia alla carenza della proteina che agli eccessi della proteina stessa.
Xander Wehrens, coordinatore della ricerca, ha spiegato: “Questo è il primo esempio di un meccanismo molecolare per la variazione circadiana nella suscettibilità alle aritmie cardiache. Quando vi era troppa o niente Klf15, i topi erano a rischio di sviluppare l’aritmia”.
Ad essere implicate comunque sono delle vere e proprie catene molecolari, nell’ambito delle quali la proteina Klf15 non è l’unica coinvolta, perché c’è un coinvolgimento anche di altre proteine.
Aggiornamento a cura di: Redazione Tanta Salute