Intervista: Cos'è l'ipocondria e come affrontarla per vivere meglio

Conosciamo meglio l'ipocondria, il disturbo psichico che porta ad immaginare di essere affetti da malattie pur essendo sanissimi, che rende difficile vivere una vita serena.

Cos'è l'ipocondria e come affrontarla per vivere meglio

Cos'è l'ipocondria e come affrontarla per vivere meglio

Vi è mai capitato che qualcuno vi definisse “ipocondriaco“? Se sì, probabilmente avete paura di tutti i disturbi che possono minacciare la vostra salute, anche ai meno gravi (o inesistenti)! Abbiamo chiesto al dr. Renato Vignati, psicologo, di parlarci di questa fobia e, soprattutto, di darci qualche consiglio valido per superarla.

Cos’è l’ipocondria?

Si può diventare schiavi delle proprie paure e ansie? Il soggetto ipocondriaco vive nella stessa precaria condizione di paura eccessiva di essere malato, sostenuta da forti convinzioni (infondate), in cui versa Argante, il personaggio principale descritto da Moliere nella sua commedia satirica “Il malato immaginario”.
Nella stessa commedia, la visione della medicina dell’epoca è espressa nei comportamenti del dottor Purgone, solo un nome, ma tutto un programma…
La stessa propensione psicologica a preoccuparsi, in maniera sproporzionata per il proprio stato di salute, effettuando controlli continui dello stato fisiologico, è comunque parte integrante delle tendenze più evidenti del nuovo millennio, dove è consistente il ricorso agli ansiolitici e antidepressivi, e quindi non è solo una tendenza che riguarda il passato.
Ad esempio, alcuni anni fa, un’indagine dell’Istat stimava che in Italia, dal 2005 al 2013, erano state eseguite ben 34 milioni di visite specialistiche, quasi otto visite all’anno per cittadino, più tutti i passaggi dal medico di famiglia e altri specialisti.
Invece, l’analisi di Eurostat, indica che la media in Europa in cui si ricorre a un consulto medico, per persona, è compresa tra 4,1 e 8,7. Mentre, la prevalenza dell’ipocondria concerne una fascia di popolazione che va dall’’1,3 % al 10%, stando almeno ai dati diffusi alcuni anni fa dal DSM-IV.
Che cosa indicano tali dati? Sono poche o tante le consultazioni? Principalmente, quello che viene spesso lamentato, un po’ da tutte le parti, è il numero eccessivo di esami previsti di fronte a problematiche di minima consistenza medica (sono prescritti molti accertamenti solo per l’ansia e l’insistenza nelle richieste del paziente? o anche per i dubbi dello specialista, che diventa così iperscrupoloso?). È da considerare che le persone ipocondriache si rivolgono sovente ai centri specialistici per la salute fisica, ma alla fine risultano sani a tutti i controlli.
Sicuramente l’insieme dei fenomeni rimanda a una complessità di fattori in gioco, non sempre decifrabili, come la tendenza ossessiva a sopravvalutare ogni minimo fastidio o disturbo fisico (e questa preoccupazione risulta eccessiva o smisurata anche nel caso sia presente un’altra condizione medica, o vi sia un rischio elevato di svilupparla). Tutto ha inizio dall’emozione primaria della paura, e in questo caso, dall’apprensione costante di poter contrarre una qualche forma di malattia, ritenuta comunque invalidante, fosse anche un semplice raffreddore o un mal di testa. L’emergere di ansia continua per le occasioni di possibile contagio congela la paura in un allarme costante, in una vigilanza incessante sulle possibilità di prendere infezioni e virus (come controllare di continuo il proprio corpo alla ricerca di segnali di malattia).
La suggestione gioca un peso decisivo nella conversione in segni fisiologici e quindi nella somatizzazione (come avveniva in modo analogo per l’isteria), producendo poi sintomi effettivi e reali, ma di lieve intensità, espressi perlopiù dalla preoccupazione costante e dall’ansia logorante, e infine dallo stress auto-provocato. Così, alla fine, anche le relazioni familiari e sociali, il lavoro e i rapporti affettivi possono deteriorarsi.
All’opposto di tali comportamenti di allarme e di richiesta eccessiva di assistenza e consulti medici, un certo numero di persone decide di ignorare qualsiasi segno di una presumibile affezione, per timore di scoprire una grave patologia, proseguendo nella vita quotidiana senza tentare mai alcuna richiesta di aiuto sanitario, neanche di fronte alla più concreta evidenza (probabilmente, il negazionista ad oltranza è però affetto da qualche patofobia).
Il termine ipocondria nel nuovo DSM-V (il Manuale Diagnostico Statistico che comprende tutte le patologie classificandole opportunamente) non viene più utilizzato. L’ipocondria, che colpisce indifferentemente uomini e donne, ora viene definita “disturbo da ansia per le malattie” riconoscendo il ruolo rivestito dall’ansia nell’insorgenza e nel decorso del disturbo dal carattere somatoforme.
Rimane il fatto che per parlare di vera e propria ipocondria, e quindi stabilirne la diagnosi (che spetta allo specialista), la preoccupazione del soggetto per la sua malattia deve essere presente da almeno sei mesi, anche se la specifica patologia temuta può cambiare nel corso di questo arco di tempo. Mentre nel disturbo d’ansia da malattia il contenuto della preoccupazione si concentra esclusivamente sulla salute, in altre tipologie di disturbi d’ansia (ad es. l’Ansia Generalizzata, oppure il disturbo da Attacco di Panico), le preoccupazioni sono più generali o connesse direttamente all’oggetto che provoca l’attacco.

Qual è la causa dell’ipocondria?

L’indagine scientifica delle possibili cause che portano a vivere nella condizione ipocondriaca, per il momento, non ha esaurito il suo corso, lo dimostra il nuovo inquadramento del DSM-V. Tra le cause più remote, similmente ai disturbi ansiosi, si possono rinvenire le conseguenze di uno specifico avvenimento traumatico (può trattarsi di una particolare malattia che pone a rischio la vita della persona), o i vissuti di un’infanzia o di un’adolescenza tormentata (ospedalizzazioni, molestie sessuali), oppure particolari situazioni vissute nella condizione di stress prolungato (ad es. modelli familiari o genitori dispensanti ipercure). Risulta comunque, che per un terzo delle persone con problematiche ipocondriache, l’ansia da malattia può manifestarsi in una forma più attenuata.
Quello che può contribuire, riguardo al processo che porta al costruirsi di distorsioni cognitive e idee irrazionali, e al mantenersi di una qualche ansia o fobia, è l’insistenza quotidiana di alcuni media sulle diverse caratteristiche di una patologia (diventando alla fine una vera e propria peste e calamità sociale), che in alcuni periodi suggestionano e saturano l’attenzione dell’opinione pubblica. Basta leggere il romanzo “La peste” di Albert Camus per rendersi conto delle conseguenze terribili, fisiche ma soprattutto psicologiche e sociali, che provoca tale piaga e flagello. E negli ultimi anni non sono mancati allarmismi di ogni genere e provenienza per epidemie, pandemie e malattie di massa: dalla “spagnola” del 1918-1919 alla SARS (coronavirus) e alla “aviaria”, passando attraverso l’AIDS. C’è chi denuncia, come sostiene criticamente Luigi De Marchi nelle sue analisi cliniche e sociali, “l’infondata e irresponsabile esagerazione del pericolo AIDS”, definendo l’intera vicenda “una grande truffa”, piena di “menzogne e distorsioni della realtà, una mistificazione totale” (AIDS la grande truffa, edizioni SEAM, 1996).
Un certo rilievo nel costruire una parvenza di malattia, con tutti i suoi sintomi, è assunto dalla fantasia e dalla suggestionabilità: così può accadere che leggendo alcuni autori e le oro opere che descrivono malattie psichiatriche, ci si senta talmente coinvolti da dover verificare nel nostro comportamento e nel nostro corpo se si riscontrano i sintomi descritti nei libri. Ad es. la lettura de “L’io diviso” di Ronald Laing può portarci a controllare se anche noi proviamo sensazioni di vuoto o allucinazioni o dissociazioni; oppure, leggendo “Risvegli” di Oliver Sacks se per caso anche noi non soffriamo di qualche malattia neurologica, perfino rara e incurabile, come l’encefalite letargica.

Cosa fare per stare meglio?

Sembra semplice superare le convinzioni erronee o le abitudini comportamentali che ci conducono a sentirci malati, ma a volte sono talmente radicate che esigono una ristrutturazione cognitiva dello stile di pensiero, orientato decisamente al pessimismo e al catastrofismo.
L’escalation di tensione è generata dalle cognizioni e dalle fantasie più funeste di potersi trovare in condizioni di salute drammatiche, fino al punto di provare la paura di poter morire nell’immediato, dove appare preclusa ogni possibilità di affrontare e gestire la malattia, proprio come accade nella crisi di panico. Anche l’attività motoria e sportiva, contro la sedentarietà, può favorire e incoraggiare stati d’animo positivi e allontanare le paure, aumentando lo stato di salute.
Incontrare persone e sentirsi parte di qualche gruppo e associazione, serve ad aprire il pensiero proprio quando si rivolge troppo a se stesso, incupendosi. Coltivare le emozioni positive, quali la gioia, la soddisfazione, la gratitudine verso la vita e la tenerezza verso gli altri, in particolar modo il senso di ‘leggerezza’: tutti sentimenti che ampliano gli orizzonti della nostra mente e procurano benessere e salute.
Per le forme più severe, può essere indicata una forma di psicoterapia, quale quella ad indirizzo cognitivo-comportamentale, che agisce progressivamente sostituendo all’idea rigida di riconoscere nei sintomi sperimentati l’esistenza di una grave malattia, la possibilità di interpretare gli stessi segni formulando ipotesi alternative, più idonee e realistiche. Lo specialista guiderà la persona con problemi ipocondriaci verso la consapevolezza dei pensieri e degli aspetti comportamentali disfunzionali, fino a raggiungere una migliore qualità della vita, ostacolata dalle ansie.
Anche le terapie di gruppo possono risultare risolutive. La terapia farmacologica, invece, potrebbe incorrere in resistenze psicologiche che riguardano proprio la paura di ammalarsi, finendo per aumentare il livello di ansia.
A RISPONDERE ALLE DOMANDE:
Dr. Renato Vignati
Psicologo