Articolo aggiornato il 1 Ottobre 2009
L’influenza suina, secondo quanto emerso dall’allarme lanciato dall’OMS sarebbe una emergenza che al momento attuale raggiunge quasi il massimo livello di allerta, al pari della influenza aviaria, della febbre gialla, e altre malattie a impatto epidemico, ma quanto questo è un reale dato emerso dalle statistiche e quanto è frutto di una autoalimentazione della opinione pubblica, basata su una eccezionalità emersa dalla situazione messicana?
A dare un taglio critico alla posizione mediatica e alla posizione delle case farmaceutiche è Daniela Condorelli, autrice di un articolo comparso sulle pagine de l’Espresso del 2009, in cui descrive passo passo i dettagli di una situazione, quella attuale, che si è creata più a partire dalla teoria e dalla stampa che non dai reali accertamenti ancora in atto.
L’epidemia ha colpito il Messico in maniera drammatica e da lì ha preso le strade del mondo, grazie alla facilità con cui al giorno d’oggi ci si sposta in aereo per viaggi intercontinentali; la diffusione delle notizie ha alimentato il panico nella gente, che ora non sa se vaccinarsi oppure no, causa di questo panico l’aver collocato precauzionalmente questa epidemia tra le epidemie a più alto livello di emergenza, si tratta del livello 5, a cui segue solo il 6 per gravità.
Se quanto proclamato dalla OMS fosse verificato e coincidente con l’esito del contagio, trattandosi di un virus influenzale, uno dei virus più facili nella trasmissione, proporzionalmente all’allarme, questa epidemia rischierebbe di mietere moltissime vittime in tutto il pianeta, a partire dai soggetti a rischio per arrivare anche a chi è perfettamente sano e si ammala di influenza, ma l’attualità dice il contario, che fare per un morbo che avrebbe bisogno di una profilassi obbligatoria, come si prevede per altre malattie a esito infausto che possono essere trasmesse anche solo con la vicinanza o con un contatto tra persone?
Interessi di produzione spinti da Big Pharma, sostiene la giornalista, che riesce a gestire il capitale economico della industria farmaceutica anche attraverso la sperimentazione dei vaccini, lo studio dei nuovi farmaci e la diffusione di comunicati legati alla emergenza sanitaria, che in questo caso sarebbe mondiale.
Ma ancora qualcosa non è detto: le eventuali dosi di vaccino reperibile sul pianeta, valutando una situazione ottimale in cui tutti i soggetti a rischio potrebbero avere interesse alla profilassi, non sarebbero sufficienti per la metà delle persone che ne fanno richiesta.
Allora qualcosa non torna, i risultati non ci sono, manca la profilassi e rimane solo l’allarme, che a questo punto riesce a coinvolgere nel programma solo chi possiede i beni per comprare gli strumenti di profilassi, cioè i paesi più ricchi in cui il vaccino è vendibile, come ad esempio l’Italia. Il dubbio è lecito, se la mossa sia una strategia per prevenire la morte delle persone più a rischio o una strategia di controllo del mercato farmaceutico.
Fonte: l’Espresso per Emergency