L’influenza suina, secondo quanto emerso dall’allarme lanciato dall’OMS sarebbe una emergenza che al momento attuale raggiunge quasi il massimo livello di allerta, al pari della influenza aviaria, della febbre gialla, e altre malattie a impatto epidemico, ma quanto questo è un reale dato emerso dalle statistiche e quanto è frutto di una autoalimentazione della opinione pubblica, basata su una eccezionalità emersa dalla situazione messicana?
A dare un taglio critico alla posizione mediatica e alla posizione delle case farmaceutiche è Daniela Condorelli, autrice di un articolo comparso sulle pagine de l’Espresso del 2009, in cui descrive passo passo i dettagli di una situazione, quella attuale, che si è creata più a partire dalla teoria e dalla stampa che non dai reali accertamenti ancora in atto.
L’epidemia ha colpito il Messico in maniera drammatica e da lì ha preso le strade del mondo, grazie alla facilità con cui al giorno d’oggi ci si sposta in aereo per viaggi intercontinentali; la diffusione delle notizie ha alimentato il panico nella gente, che ora non sa se vaccinarsi oppure no, causa di questo panico l’aver collocato precauzionalmente questa epidemia tra le epidemie a più alto livello di emergenza, si tratta del livello 5, a cui segue solo il 6 per gravità.
Se quanto proclamato dalla OMS fosse verificato e coincidente con l’esito del contagio, trattandosi di un virus influenzale, uno dei virus più facili nella trasmissione, proporzionalmente all’allarme, questa epidemia rischierebbe di mietere moltissime vittime in tutto il pianeta, a partire dai soggetti a rischio per arrivare anche a chi è perfettamente sano e si ammala di influenza, ma l’attualità dice il contario, che fare per un morbo che avrebbe bisogno di una profilassi obbligatoria, come si prevede per altre malattie a esito infausto che possono essere trasmesse anche solo con la vicinanza o con un contatto tra persone?
Interessi di produzione spinti da Big Pharma, sostiene la giornalista, che riesce a gestire il capitale economico della industria farmaceutica anche attraverso la sperimentazione dei vaccini, lo studio dei nuovi farmaci e la diffusione di comunicati legati alla emergenza sanitaria, che in questo caso sarebbe mondiale.
Ma ancora qualcosa non è detto: le eventuali dosi di vaccino reperibile sul pianeta, valutando una situazione ottimale in cui tutti i soggetti a rischio potrebbero avere interesse alla profilassi, non sarebbero sufficienti per la metà delle persone che ne fanno richiesta.
Allora qualcosa non torna, i risultati non ci sono, manca la profilassi e rimane solo l’allarme, che a questo punto riesce a coinvolgere nel programma solo chi possiede i beni per comprare gli strumenti di profilassi, cioè i paesi più ricchi in cui il vaccino è vendibile, come ad esempio l’Italia. Il dubbio è lecito, se la mossa sia una strategia per prevenire la morte delle persone più a rischio o una strategia di controllo del mercato farmaceutico.
Fonte: l’Espresso per Emergency
Influenza suina: realtà e paure
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