Infarto, le cause nei geni: la ricerca

Un nuovo gene sarebbe responsabile della regolazione della rigidità arteriosa, causa di gravissime patologie

Articolo aggiornato il 13 Marzo 2009

cuore
Malattie cardiovascolari, infarto in testa, sul banco degli imputati quali responsabili principali di mortalità soprattutto nei Paesi sviluppati e implicati in questo sono quanto mai tutte quelle malattie che coinvolgono a titolo diverso le arterie coi processi ben noti, uno fra tutti, l’aterosclerosi, ovvero la perdita di elasticità di questi vasi e se a questa condizione aggiungiamo anche l’ipertensione arteriosa capiamo molto bene come alla lunga determinati accidenti vascolari trovino la loro ragion d’esistere proprio in queste situazioni cliniche che sfociano nella patologia.

Ne deriva dunque che la speranza di fronteggiare al meglio eventuali cardiopatie non sia solo riposta sulla cura della salute del cuore, ma anche di quei vasi che devono irrorarlo. Ecco dunque che diviene fondamentale una ricerca scientifica condotta dall’Istituto di neurogenetica e neurofarmacologia (Inn) del Consiglio nazionale delle ricerche di Cagliari, in collaborazione con vari gruppi internazionali che scandagliando la condizione delle arterie ha trovato in esse un gene, denominato COL 4 A1, che entrerebbe di diritto nella regolazione della rigidità arteriosa.

Lo studio

Lo studio condotto in Sardegna all’interno del progetto Progenia ed inizialmente finalizzato alla ricerca dei processi di invecchiamento di una parte degli abitanti della Sardegna mediante lo studio del DNA di 6000 abitanti di quattro paesi dell’Ogliastra: Lanusei, Ilbono Elini ed Arzana, al fine di constatare i segreti della longevità di queste popolazioni per’altro rimaste isolate per millenni,ha portato alla comprensione del ruolo che il gene COL 4 A1 ha nel determinare la rigidità delle arterie e gli studi in corso farebbero propendere che il ruolo di tale gene sarebbe centrale nel determinare o meno le più gravi patologie a carico dell’apparato cardiovascolare, ne deriva che la cura, divenuta una priorità della Comunità Scientifica, dovrà essere prevista intervenendo sul gene stesso.
La ricerca, pubblicata sulla rivista internazionale Circulation: Cardiovascular Genetics, è stata condotta principalmente dal gruppo di ricerca dell’Inn-Cnr nella sezione staccata di Lanusei in collaborazione con il gruppo scientifico americano del National Institute of Aging (NIA) coordinato da David Schlessinger e con Alan Shuldiner del Dipartimento di medicina dell’Università del Maryland di Baltimora, USA.

Gli afroamericani e i geni che li proteggono dall’infarto

Gli afroamericani avrebbero il 40% di possibilità in più di sopravvivere dopo un infarto lo avrebbero stabilito ricercatori dell’Università del Maryland dopo aver appurato che responsabile di questa sorta di protezione naturale sarebbe una variante genetica di cui godrebbero le popolazioni di quella etnia che otterrebbero lo stesso risultato che altrimenti si realizzerebbe sottoponendosi a farmaci della categoria così detti, betabloccanti.
Due i geni implicati nella caratteristica di proteggere gli afro-americani, GRK2 e GRK5 che, con la variante GRK5-Leu41 determinerebbero una minore azione dell’adrenalina sulle cellule miocardiche così, sottoponendo 375 adulti afro-americani che non avevano assunto farmaci betabloccanti questi vivevano più a lungo fra coloro che avevano nel loro patrimonio il gene GRK5-Leu 41, alla pari, insomma e naturalmente, di quelli che invece assumevano i farmaci citati.
Aggiornamento a cura di: Redazione Tanta Salute

Ti potrebbe interessare