Articolo aggiornato il 9 Gennaio 2008
Col termine di epatite, si indica uno stato di infiammazione del fegato, quasi sempre dovuta ad un’aggressione da virus. Negli anni, al crescere delle acquisizioni medico scientifiche, si sono riconosciute sempre maggiori forme di epatite, al punto che oggi se ne classificano almeno sette, fermo il fatto che la Comunità Scientifica ne riconosce sempre di nuove, fatto utile questo perché affina le cure per quella che è una patologia dai risvolti, a volte, anche gravi.
Classificazione delle forme di epatite
Epatite A o contagiosa
Si caratterizza, innanzitutto per avere un’incubazione del virus di circa 15 giorni e per essere facilmente trasmissibile dal soggetto infetto.
Epatite B o da siero
Ha un’incubazione che riveste un periodo che va dai due ai tre mesi.
Epatite C, nota anche come epatite “non A, non B “
Ha un’incubazione variabile dalle sei alle nove settimane.
Epatite D, anche nota come epatite Delta
Non sono stati ancora del tutto chiariti i tempi di incubazione
Epatite E
Forma di epatite trasmessa per mezzo delle feci da persona infetta, ha un’incubazione di circa 15 giorni.
Epatite “Non A, Non B, Non C, Non E
Un’altra classificazione che riguarda questa malattia la distingue in epatite alimentare, ovvero quelle contratta a causa del cibo, fanno parte di queste epatiti le forme A ed E, contrarre queste forme è possibile, ad esempio, con l’ingestione di frutti di mare, oppure con la frutta e la verdura lavata con acqua contaminata o, ancora, ingerendo acqua o altri liquidi infetti.
Sono definite epatiti contratte per via parenterale, le forme B,C e D, sono quelle forme che si trasmettono mediante il contatto col sangue infetto di un malato tramite accidentali punture con aghi utilizzati o altri oggetti che causano ferite.
Incidenza delle epatiti
Fra le epatiti più temibili si annovera la forma C che si trasmette, appunto, col contatto col sangue infetto, ha una diffusione abbastanza cospicua calcolata in ragione del 3% a livello mondiale, ciò significa che ogni anno si ammalano dai 170 ai 200 milioni di persone. Ma anche questo è un numero calcolato in difetto per diverse ragioni, primo perché molte popolazioni sfuggono alla conta dei casi, probabilmente in quelle parti del mondo dove, vista la scarsa prevenzione, è più facile ammalarsi di epatite, inoltre perché la malattia durante il suo decorso e quasi asintomatica o scambiata per altre patologie, almeno nella fase iniziale.
Che l’epatite nella Forma C sia una patologia di una certa gravità, lo conferma il dato secondo il quale, ad esempio, nella sola Sicilia, dove recentemente è stata fatto uno studio della malattia, si contano circa 2.000 morti ogni anno e quello che è più allarmante è che di questi malati solo lo 0,50% è a conoscenza del fatto di essere affetto dalla patologia fin dalla prime fasi, venendone a consapevolezza in occasione di indagini mediche effettuate per ricercare altre cause che giustifichino la comparsa di disturbi transitori e poco chiari, fatto questo che, oltretutto, ritarda notevolmente le cure.
Che anche in Italia vi sia una relativa incidenza di Epatite tipo C, non per questo tanto elevata da giudicarla allarmante, lo dimostrano i dati appena accennati, eppure la più grande isola d’Italia è solo la terza regione del nostro Paese per incidenza e mortalità, prima di questa figura la Campania e la Lombardia. Dunque una malattia diffusa e, stante il numero di vittime, anche pericolosa.
Curioso il fatto che ci si ammali di più in città che in campagna, anche se il tutto è spiegabile a causa della minore concentrazione di individui in ambiti rurali rispetto alle città con maggiori occasioni di contagio nei grandi centri.
La trasmissione della malattia
Fermo il fatto che, come si è visto, la trasmissione avviene da individuo infetto a quello malato, quasi sempre per via ematica, con conseguente scambio di oggetti di uso comune, non sempre questa è la sola via imboccata dal virus, infatti esiste una trasmissione ritenuta sicuramente rara, ma non del tutto esclusa e prevede la possibilità di contagio tramite fluidi corporei. Dovendo quantificare le vie di accesso del virus, oggi si è in grado di stabilire che il contagio avviene maggiormente con l’utilizzo di siringhe infette, il pensiero va ai tossicodipendenti che fanno uso di siringhe per somministrarsi la droga e ciò avviene nel 95% dei casi. In passato, inoltre, si annoverava una casistica pari al 10% dei casi di contagio in pazienti dializzati, percentuale che si è, quasi, drasticamente azzerata, da quando si è scoperto il virus della malattia.
Ancora adesso, invece, circa 40 casi su 100 sfuggono ad ogni controllo riguardo ai motivi del contagio, annoverandoli a cause sconosciute. Prima degli inizi degli anni novanta, inoltre, esisteva una casistica relativa a contagio dell’epatite riferita agli emotrasfusi. Successivamente, come per i dializzati, questa percentuale è diminuita sensibilmente. Infine vi è una percentuale abbastanza bassa, pari a circa l’1% , riferita a pazienti che hanno subito un trapianto di organi infetti dal virus, stessa percentuale è riferita a contagio con un individuo infetto a causa di un rapporto sessuale non protetto. Vista la bassissima possibilità di ammalarsi a seguito di questi ultimi casi, molti ricercatori smentiscono addirittura del tutto la possibilità di contagio in queste due ultime condizioni. Così come la trasmissione tramite saliva, sperma e altri liquidi organici, pur se non del tutto esclusa, resta bassissima, così come è del tutto escluso il contagio tramite puntura di zanzara, per il semplice fatto che i succhi gastrici dell’insetto neutralizzano l’agente patogeno
Trasmissione in gravidanza: il contagio del feto e del nascituro tramite la madre è molto basso, anche in donne positive al virus C, al punto che anche in questi casi la donna può tranquillamente restare incinta e può successivamente allattare il bambino senza problemi. Relativamente alta invece l’incidenza di contagio mediante pratiche di tatuaggio, piercing, scambio di lamette da barba, spazzolini ed altri oggetti di uso personale. Così come, infine, per individui a rischio, come tossicodipendenti, emodializzati e trasfusi, prima degli anni novanta e partner di persone infette, v’è indicazione a sottoporsi periodicamente a quei controlli che accertino l’eventualità di un contagio.
Conoscenze attuali , diagnostica e cure dell’epatite C
Come detto, essendo l’epatite C caratterizzata da una sintomatologia inizialmente di difficile interpretazione diagnostica per la genericità dei sintomi lamentati dal paziente, addirittura spesso scambiati per disturbi dipendenti da periodi prolungati di stress psico-fisico, con sintomatologia evidenziata da stanchezza progressiva, perdita dell’appetito e febriciattole, diagnosticare la malattia in assenza di analisi cliniche non sempre è agevole, solo quando ci si accorge che il colorito della pelle è mutato, improvvisamente, dallo stato originale ad un colore tendente al giallognolo, accompagnato da una colorazione bruna delle urine e dallo sbiancamento delle feci, ci si sottopone ad un esame ematico che accerti lo stato di salute del paziente e si giunge alla diagnosi inconfutabile di epatite C.
Analisi cliniche per l’accertamento dell’epatite C
Oggi la scienza medica dispone di tutta una serie di mezzi diagnostici che consentono di stabilire con certezza non solo lo stato del virus nel sangue dell’individuo affetto, ma anche le possibilità che ha l’organismo di difendersi dall’attacco virale. Per giungere a ciò, si dispone attualmente di marcatori del virus HCV la cui positività ci da l’indicazione che l’agente infettivo è nel sangue e si sta moltiplicando. Contestualmente si effettua un altro esame per evidenziare la presenza degli anticorpi prodotti dall’organismo contro il virus. Addirittura dal raffronto dei dati rilevati dalle analisi effettuate sui pazienti è anche possibile stabilire se la cura che l’ammalato esegue è valida o inefficace. Ciò lo si stabilisce comparando le analisi prima e dopo la somministrazione dei farmaci prescritti; completano le indagini altre analisi di routine per evidenziare lo stato di salute generale del paziente, associati ad un esame ecografico del fegato per stabilirne le dimensioni. Se previsto, a giudizio del medico, si può ricorrere anche alla biopsia epatica che consiste nell’aspirazione e asportazione di una parte infinitesimale di organo da analizzare al microscopio elettronico.
Cura dell’epatite
L’attuale terapia dell’epatite C, si basa sulla somministrazione per un periodo di almeno un anno, di Interferone Alfa, una proteina già presente naturalmente nell’organismo sano che stimola il sistema immunitario a produrre anticorpi in grado di sconfiggere la malattia. Appare tuttavia strano il fatto che l’organismo, pur disponendo di questi anticorpi, da solo non riesca a contrastare efficacemente il virus, l’unica spiegazione che oggi si è fatta in tal senso è che il virus dell’epatite C si diffonda rapidamente per via ematica mutando continuamente e creando nel sistema immunitario una certa confusione nel riconoscerlo con la conseguenza di attaccare le cellule epatiche uccidendole. La pericolosità della malattia sta nel fatto che l’organismo ricostituisce le cellule distrutte con nuove cellule sempre meno funzionali delle originali a causa di una struttura meno elastica del corpo cellulare che fa perdere al fegato la capacità di filtrare, peculiarità principale di quest’organo, fino a veri e propri processi di degenerazione del tessuto che lo costituisce e trasformazione in cirrosi epatica, mano, mano che la malattia si aggrava, con conseguenze devastanti per l’intero organismo, fino alla morte, in casi estremi per insufficienza epatica irreversibile o per l’insorgenza di tumori epatici.
La percentuale di successo della cura dipende dall’epoca in cui si è diagnosticata l’epatite, più tardiva è la diagnosi meno efficace sarà la cura, anche se attualmente i successi terapeutici con gli attuali farmaci valgono in quasi il 90% dei casi, laddove la malattia non abbia determinato gravi danni epatici, in un 70% di successi, quando, invece, vi sia stata una parziale invasione del fegato da parte del virus, con una mortalità dell’80%, quando i danni sono estesi e manifesti
Aggiornamenti terapeutici
Come per altre gravi malattie, non mancano i progressi scientifici, anche per la cura dell’epatite C, si pensi all’associazione Interferone Alfa con antivirali del tipo amantadina e/o ribavirina. Così come è possibile, in futuro, sperare in un vaccino specifico ed efficace. Non mancano, purtroppo, gli effetti collaterali a seguito di utilizzo dei farmaci per la cura della grave patologia, che consistono in transitori dolori muscolari e articolari all’inizio della terapia, con concomitante rialzo della temperatura,che, generalmente, con dosaggi più personalizzati o con l’assunzione concomitante di sintomatici, cessano nel breve periodo. Tuttavia l’esacerbazione di questi o altri più gravi sintomi in taluni soggetti costringono il medico ad interrompere le cure con la conseguenza che sperare in una guarigione senza farmaci è impresa quasi disperata.
Tuttavia, recenti studi effettuati dall’Istituto di gastroenterologia dell’Ospedale Molinette di Torino, diretto dal professore Mario Pizzetto, riferiscono di un nuovo tipo di interferone definito peghilato, più noto come superinterferone, che avrebbe un’efficacia più rilevante nella cura della malattia in quanto consentirebbe a questa sostanza modificata, di rilasciarsi più lentamente nell’organismo malato consentendo così di avere un’alta concentrazione del preparato nel sangue per una durata maggiore nel tempo, ciò anche limitando gli effetti collaterali tipici dell’Interferone fino adesso utilizzato.
Questa scoperta contribuisce concretamente a dare speranze a tutti i malati dell’epatite C e soprattutto a tutti coloro che non potevano assumere regolarmente i farmaci loro prescritti a causa degli effetti collaterali lamentati.
Norme dietetiche e comportamentali
In linea di principio gli ammalati di epatite C, devono astenersi categoricamente dal consumo di alcol in quanto è dimostrato che questo acceleri la degenerazione del fegato fino alla cirrosi epatica.
Così come è senz’altro opportuno, per quest’ultimi, ridurre drasticamente l’alimentazione ricca di sale, fritture in genere e grassi animali, propendendo verso un’alimentazione ricca di frutta e verdura. Infine, indispensabile quanto mai, la conoscenza di tutti quei fattori di rischio riguardo la prevenzione delle forme di contagio, nonché il riferimento tempestivo al medico riguardo ogni alterazione, ritenuta magari banale dall’individuo, dello stato di benessere, affinché egli possa mettere in atto, per tempo, gli accertamenti diagnostici idonei a valutare lo stato di rischio di insorgenza della malattia, indirizzando, ove occorra, il paziente presso lo specialista più idoneo a fronteggiare nel breve periodo la malattia in ogni sua forma.