L’epatite A è una patologia virale che colpisce il fegato. Tra le epatiti è quella più frequente e diffusa al mondo: in Italia, in particolare nelle regioni meridionali, in Africa, Medio Oriente, Sud America, America Centrale, Asia e Pacifico Occidentale. Nei Paesi industrializzati il contagio avviene, soprattutto, in età adulta, mentre in quelli in via di sviluppo (dove la causa è la scarsa igiene) avviene nella prima decade di vita. Infatti, purtroppo, in queste zone i bambini sono tra i più colpiti. Di solito non degenera in epatite fulminante e il tasso di mortalità non è altissimo: circa lo 0,3%, che aumenta nei soggetti con età superiore ai 40 anni.
Cause e sintomi
La malattia è causata da un virus, HAV, che si trasmette in vari modi: o per contatto diretto da persona a persona, per in gestione di cibi e acqua contaminati, tramite oggetti o le mani contaminate. Raramente la trasmissione avviene da madre a figlio durante la gravidanza. Una volta ingerito il virus arriva nella circolazione sanguigna dopo aver attraversato l’epitelio orofaringeo o intestinale. Giunto nel sangue raggiunge il fegato, dove si lega agli epatociti, penetra all’interno delle loro cellule, per poi replicarsi. Ecco perché la via di trasmissione più frequente è quella oro-fecale, e l’ingestione di alimenti o acqua contaminati, soprattutto, molluschi o verdure crudi o poco cotti. La sua presenza è riscontrabile solo dopo circa trenta giorni (mediamente è il periodo di incubazione) attraverso un esame delle feci. Dopo questo periodo compaiono i primi sintomi della patologia che in genere sono inappetenza, nausea, vomito, febbre, dolore addominale, malessere generale, seguiti dopo qualche giorno da ittero (colorazione giallastra della pelle e delle sclere, dovuta ad un aumento dei livelli di bilirubina nel sangue), prurito, e urine scure e feci chiare.
Diagnosi, cura e vaccino
Per diagnosticare l’epatite A, oltre alla sintomatologia vista sopra, sono necessari alcuni esami. Questi ultimi si eseguono o con un semplice prelievo di sangue (per verificare i valori degli enzimi epatici, IgM e IgG anti-HAV, che sono gli anticorpi che si presentano in caso di infezione virale da parte di questo virus). Oltre a questi la presenza del microrganismo è possibile anche attraverso un test per analizzare le feci. La patologia, nella maggior parte dei casi, ha un decorso benigno che conferisce un’immunità permanente. La cura principale è la prevenzione, in particolar modo per quelle persone che devono affrontare dei viaggi nei Paesi in via di sviluppo; in queste zone il rischio di infezione aumenta di molto. Tra i metodi di prevenzione il vaccino è tra i più importanti. Quest’ultimo è costituito dal virus inattivato, conferisce una protezione già dopo 14-21 giorni dalla somministrazione (via intramuscolare nel deltoide) della prima dose; mentre la dose di richiamo (eseguita dopo 6-12 mesi) la conferisce per almeno 10 anni. Esistono vari tipi di vaccino, che si distinguono in base all’età di somministrazione e al dosaggio: Havrix 720 unità viene somministrato in un’età compresa tra i 5 mesi e i 16 anni; Havrix 1440 unità, invece, oltre i 16 anni; in entrambi i casi le dosi usate sono due, ma solo nel primo caso viene eseguito il richiamo dopo 10 anni. Un altro tipo di vaccino è il Vaqta la cui somministrazione viene eseguita o dai 2 ai 17 anni (25 unità), o oltre questa età (50 unità). L’efficacia del vaccino è stata constatata con vari studi ed è pari anche al 94-100%. Sicuramente l’igiene delle mani, il controllo delle acque, la cottura dei cibi per evitare la presenza del virus sono importanti, ma la vaccinazione rimane comunque la metodica più importante. L’unica precauzione è che il vaccino non deve essere somministrato a persone con ipersensibilità accertata verso i componenti di quest’ultimo ed è necessario fare attenzione durante la gravidanza.