Disturbo Dissociativo dell'Identità: di cosa si tratta e come si cura

Il Disturbo Dissociativo dell’Identità, conosciuto con la sigla DID, è una seria patologia psichica caratterizzata da due o più stati di personalità distinti, di perdite di memoria e altri problemi psicopatologici, come depressione, attacchi di panico, disturbi alimentari, disturbi del sonno e disfunzioni sessuali.

Disturbo dissociativo dell'identita

Disturbo dissociativo dell'identità

Oggi parliamo di un disturbo particolare, quello dissociativo dell’identità, e lo facciamo assieme al dr. Marco Paolemili, specialista in psichiatria.

Cosa è il disturbo dissociativo dell’identità?

Disturbo Dissociativo dell’Identità è la definizione che i sistemi di classificazione delle malattie mentali hanno dato a quello che era comunemente conosciuto come disturbo da personalità multipla.
I soggetti con questo disturbo hanno due o più personalità distinte, ciascuna delle quali determina il comportamento e gli atteggiamenti nel periodo in cui è la personalità dominante.
È considerato il più grave dei disturbi dissociativi, ma si verifica molto raramente. Il disturbo è a stragrande prevalenza femminile (circa il 90% dei casi, secondo alcuni autori quasi il 100%).
È, tuttavia, difficile fare una stima precisa, poiché diversi casi di disturbo dissociativo dell’identità entrano nel sistema della giustizia e non vengono seguiti. Spesso, infatti, il disturbo porta a episodi di violenza sessuale e fisica, di frequente a danno di bambini.
Può svilupparsi già nei bambini a partire dai tre anni di età. Più precoce è l’esordio del Disturbo Dissociativo dell’Identità, più grave è la prognosi.

Quali sono i sintomi e le cause?

Il Disturbo Dissociativo dell’Identità è un disturbo dissociativo cronico quasi invariabilmente correlato a un evento traumatico, di solito una violenza fisica o sessuale subita in età infantile, spesso un incesto.
Altri eventi traumatici possono includere la morte di un parente stretto o di un amico durante l’infanzia e l’aver assistito a un evento traumatico o a un decesso. Si è ipotizzato che l’epilessia sia coinvolta nella genesi del disturbo, alcuni studi, infatti, hanno evidenziato un’elevata percentuale di attività elettrica cerebrale anormale nei pazienti affetti.
Il numero medio di personalità nel Disturbo Dissociativo dell’Identità è nell’ordine di 5-10. Spesso, tuttavia, solo due o tre personalità sono evidenti alla diagnosi, le altre vengono riconosciute nel corso del trattamento.
La transizione da una personalità all’altra è, spesso, improvvisa e drammatica. Solitamente, durante uno stato di personalità, il soggetto non ricorda l’esistenza delle altre, né gli eventi che hanno avuto luogo quando era dominante un’altra personalità.
Altre volte, più raramente, le personalità sono consapevoli in vario grado di tutte o di alcune delle altre personalità e possono percepirle come amici, compagni o avversari.
Le personalità possono essere di entrambi i sessi, di varie età, di famiglie diverse da quella di origine dell’individuo, con nomi diversi. Sono disparate e opposte (estroverse e introverse, sessualmente promiscue e timorose).

Come si cura?

È un disturbo difficile da trattare e la guarigione di solito è incompleta. Gli approcci terapeutici più efficaci sono la psicoterapia a orientamento introspettivo, spesso in associazione con l’ipnoterapia o con tecniche d’intervista con somministrazione di farmaci.
Queste due associazioni sono utili per riuscire a ottenere informazioni addizionali e per identificare le personalità precedentemente non riconosciute. In alcuni casi, quando alcune personalità sono inclini a comportamenti autodistruttivi o violenti, è necessario il ricovero in ospedale.
Lo stadio iniziale della terapia si concentra sulla comunicazione tra le personalità, per poi proseguire nella difficile e non sempre fruttuosa reintegrazione delle personalità, arrivando poi al metabolismo del trauma associato alle origini del disturbo.
L’uso di farmaci antipsicotici non è indicato. Antidepressivi e ansiolitici, in alcuni casi, possono offrire qualche beneficio alla terapia.
A RISPONDERE ALLE DOMANDE:
Dr. Marco Paolemil
Specialista in psichiatria