Articolo aggiornato il 24 Settembre 2014
“Avevo 18 anni quando mi fu diagnosticato, e ovviamente non sapevo di cosa si trattasse. Dopo chemioterapie, radioterapie e un autotrapianto, la sfortuna decise di segnarmi ancora una volta con un secondo linfoma; dando vita ad una battaglia che alternava perpetuamente me e i miei due nemici: il signor Hodgkin e il signor Non Hodgkin. Oggi, a 23 anni, grazie a mia madre che mi ha donato la vita per la seconda volta sono ancora qui e ho il grande piacere di poter condividere con voi la mia storia tramite un diario che sta uscendo nelle librerie in questi giorni: Diario di uno sfigato ventunenne“.
Si è presentato così, alla nostra redazione, Jacopo Juri Grasso: un ragazzo come tanti, la cui vita è cambiata da un giorno con l’altro quando la “sfiga” si è accanita contro di lui sotto forma di linfoma. Una battaglia difficile, che Jacopo si prepara a combattere completamente impreparato. Una guerra da cui è uscito vincitore, e con la voglia di condividere la propria esperienza, di cui ha fatto tesoro, per aiutare chi si trova nella stessa situazione. Per questo lo abbiamo intervistato.
Come ti sei sentito quando hai scoperto di avere un linfoma?
A differenza di quello che si potrebbe pensare non la presi così male. Non la presi male poiché ignorante in materia. La consapevolezza che si trattava di qualcosa di importante arrivò più tardi percependo l’angoscia negli occhi dei miei e quando i medici mi parlarono di chemio. Alla diagnosi del secondo linfoma, lì sì che mi sono spaventato.
Qual è stato il tuo iter di cure?
Ho iniziato con diverse chemio. Diverse perché non si otteneva mai la risposta desiderata pertanto bisognava cambiare protocollo prima che la malattia aggirasse la cura. Ho fatto anche radio, un autotrapianto di midollo e un trapianto aploidentico (compatibile per metà) da donatore (mamma). A queste ho sempre accostato cure omeopatiche per aiutare a disintossicare il corpo dagli effetti collaterali delle terapie, scoprendo l’importanza dello stile di vita, dell’alimentazione e dello sport.
Chi ti ha aiutato di più in questo periodo?
Ad avermi aiutato di più, concretamente parlando, è stata la famiglia ed in particolare Giotto, la mia pet therapy; ma essendo io di generazione nativa digitale non è mancato nemmeno l’affetto degli amici più lontani. Una cosa che ho notato è che durante la malattia impari a conoscere e riconoscere veramente le persone, perché non cambia solo te ma anche chi ti sta intorno. In questo modo, ahimè, si perde qualche amicizia.
Come ti ha cambiato questa esperienza?
Come dicevo cambia il modo di percepire le cose. Quando passi le ore, i giorni o addirittura i mesi (nel caso dei trapianti) in ospedale impari ad amare la vita a partire dal più piccolo elemento che la compone. Impari addirittura a goderti le ore che passi in classe a lezione poiché inizi a vivere alla giornata. Studiare e perseguire le mie passioni sono stata la miglior distrazione dall’ospedale permettendomi di diplomarmi e laurearmi in tempo, come un ragazzo qualsiasi.
La malattia mi ha cambiato soprattutto nel modo di vedere la vita e i fatti positivi o negativi che accadono.
All’inizio mi chiedevo “Perché io?” e non essendo credente invidiavo chi aveva fede e non si poneva domande. Poi ho imparato a trovare un modo mio di credere: innanzitutto bisogna accettare quello che ti accade, poi spetta solo a te prenderlo e trasformarti nel demiurgo plasmandolo e attribuendogli significati, continuando la tua vita a ritmo di “visualizzazioni”.
Come nasce l’idea di scrivere la tua storia?
È accaduto per caso. Non mi sarei mai immaginato di scrivere un libro, anzi proprio non volevo farlo perché io stesso avrei trovato bizzarro leggere una raccolta di sfighe. Invece un giorno è arrivata l’ispirazione o meglio, lo sfogo. Ed è durato solo quel giorno (anche se nel titolo cito “diario” non si tratta di appunti presi giorno per giorno, ma di un libro scritto in un giorno). E dallo sfogo nasce la speranza di poter raggiungere più persone possibili così da evitare che un nuovo Jacopo si trovi impreparato di fronte ad una malattia sempre più diffusa e sempre più guaribile.