Bambino che morde: i consigli della psicologa per farlo smettere

Sapere perchè il bambino morde è fondamentale per conoscere le emozioni che attraverso questo gesto i più piccoli tentano di comunicarci. Scopriamo come fare con la Dottoressa Giovanna Tatti.

bambino che morde
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Articolo aggiornato il 27 Marzo 2020

La fase del mordicchiare è assolutamente fisiologica nella evoluzione psico-fisiologica di un bambino. Nel corso del primo anno di vita, normalmente, i bambini utilizzano il corpo e la corporeità come strumento per capire, comprendere, apprendere, comunicare, sperimentare e sperimentarsi. Inizialmente, proprio per capire dove finisca il loro corpo e dove inizi l’altro da sé.
Nella fase di dentizione, poi, mettere le cose in bocca e mordicchiare è spesso legato al fastidio che lo spuntare dei dentini genera, oltre al bisogno di testare /tastare l’ambiente esterno. E sono gli adulti stessi a suggerire al bambino di mordicchiare oggetti atti allo scopo, o cibo duro…
Il mordere si associa alla rabbia, all’aggressività (anche alla sessualità, e questo forse è uno dei motivi per cui l’adulto va così in crisi davanti al mordere dei bambini) e al disagio, mentre altre volte può essere inteso come manifestazione di affetto. Il termine aggressività deriva dal latino ad-gredior dove ad inidica il movimento verso; e significa dunque andare verso, andare incontro, avvicinarsi a, quindi.
L’aggressività e il mordere vanno dunque interrogati come modo di entrare in relazione e di dire delle cose; cose spesso non chiare e non verbalizzabili.
È importante, fondamentale, che gli adulti di riferimento abbiano chiaro che per i bambini il morso può rappresentare uno degli strumenti nella loro cassetta degli attrezzi ancora acerba, con cui possono entrare in relazione e attirare l’attenzione.
Abbiamo, quindi, rivolto alcune domande alla dr.ssa Giovanna Tatti, specialista in psicologia.

Quando nasce il problema, allora?

Come diciamo sempre, le nostre antennine devono sollevarsi quando questa modalità permane nel tempo, fino a diventare da mezzo naturale e funzionale un sintomo di disagio, cronicizzandosi.
Non sempre gli adulti sono capaci di codificare i messaggi che arrivano nel loro linguaggio dai bambini, ivi compreso il significato di un gesto o di un morso.
Sappiamo che nei momenti di frustrazione può essere un gesto che il bambino mette in atto senza l’intenzione di fare del male; infatti, per come è strutturato l’apparato psichico del bambino, nella fascia 0-2 / 0-3 il bambino non è in grado di distinguere il bene dal male in modo chiaro, né esattamente che effetto ha sull’altro la sua azione.
Mordere può comunicare proprio la non capacità del bambino di comunicare le proprie emozioni, i sentimenti, i desideri magari frustrati. Inoltre, non guasta ricordare che anche negli adulti, talvolta, quando la quota emotiva travalica la possibilità di contenimento psichico, la soluzione è il “passaggio all’atto”, a un’azione, che talvolta si agisce proprio sul corpo (mordersi, tagliarsi, graffiarsi).
Quando, intorno ai 2 o 3 anni il linguaggio verbale, nuova modalità di comunicazione, diventa famigliare, tende a sostituirsi naturalmente, per quanto parzialmente, all’azione e, dunque, anche alla tendenza a mordere.
Talvolta, le modalità possono cronicizzarsi, ma al netto di patologie strutturate, il comportamento inadeguato potrà essere convertito in altri più adeguati con un po’ di pazienza e qualche accortezza.
A volte, i bambini mordono sé stessi e, in questo caso, è importante non ignorare questa particolare forma di aggressività.

Quali sono le cause?

La causa può ricercarsi in uno stress emotivo che eccede la possibilità di contenimento e che può portare il bimbo (o anche l’adulto) a mordersi per sfogare rabbia, frustrazione, gelosia o altro. È fondamentale cercare di individuare le cause che portano il bambino a sperimentare questo stato di ansia, paura o franca angoscia per aiutarlo a evitare comportamenti violenti e aggressivi verso se stesso e gli altri, ma ancora più importante per aiutarlo a strutturare un apparato per pensare, interno, che possa fungere da contenitore per queste emozioni “troppe” senza arrivare a ferirsi.
Personalmente, non ritengo sempre utile impedire di mordere. Anzi. Se questo è il modo in cui si gestisce la disorganizzazione emotiva togliere uno strumento di gestione prima che se ne siano strutturati altri, potrebbe essere destrutturante.
Quello che può essere utile fare, fino a che non si capisce il senso del gesto, è rendere sicuro il gesto stesso, ad esempio, fornendo oggetti sicuri, che possano essere succhiati e morsi.
L’impegno dell’adulto sarà comunque anche orientato a cercare di far comprendere al bambino che il “morso”, se rivolto ai genitori, ai compagni e a tutte le persone, è un gesto scorretto che provoca dolore e al suo posto possono essere utilizzati oggetti sostitutivi creati per essere morsi.

Cosa fare?

Dando per assodato che è necessario riconoscere la fisiologicità dell’atto del mordere per un bambino, rimane fondamentale la comunicazione adulto-bambino rispetto al fatto che “mordere non va bene”.
Di fronte a un morso, l’adulto deve prendere le distanze, con tono fermo e deciso, per fare capire al bambino che quel gesto non deve ripetersi.
È, poi, fondamentale, come sempre coi bambini essere coerenti.

  • Vietati i giochi che implichino morsi, pizzicotti, et similia: quante volte gli adulti davanti a un bimbo piccolo dicono che è “bello che lo mangerei” e gli mordicchiano il piedino o la cosciotta?
  • Non ridere o minimizzare, se il bambino inizia a mordere, anche per gioco.
  • Nei più piccoli è utile dare al bambino giocattoli pensati per soddisfare il suo bisogno di mordere. Dopo, quando inizia a capire stati d’animo quali la rabbia e la frustrazione, è fondamentale chiedere e aiutare il bambino a chiedersi quale sia il problema, spiegandogli che ci sono mezzi altri per comunicarlo e per risolverlo.
  • Se il bambino frequenta il nido o la scuola di infanzia, genitori e educatori insieme è fondamentale per risolvere il problema.

Laddove, poi, ci fossero dubbi o preoccupazioni è utile una consulenza specialistica così da fugare dubbi diagnostici eventuali e, per evitare che la preoccupazione legittima dei genitori, che possono diventare ansiosi, ricada sul bambino peggiorando il problema.
A RISPONDERE ALLE DOMANDE:
Dr.ssa Giovanna Tatti

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